La ragazza che leggeva il francese

[section_title title=”Recensione di Monica Odetto.” style=”section-title”]

A volte curiosando tra gli scaffali di una biblioteca si possono trovare sorprese inaspettate. È il caso di questo romanzo La ragazza che leggeva il francese (edizioni e/o) che mi è capitato sotto mano e mi ha incuriosita. L’autrice si chiama Wei Wei, una scrittrice cinese che scrive i suoi romanzi in lingua francese.

Il libro è una sorta di autobiografia, è la storia di una giovane ragazza della Cina che dopo aver terminato gli studi superiori viene mandata a lavorare nei campi, ma che da sempre ha in sé un solo desiderio: studiare medicina all’università per diventare dottore e poter aiutare le persone. Il destino però non le sarà così favorevole, il governo cinese infatti non accetta la sua proposta di iscrizione all’università. Le viene data però un’altra possibilità: c’è bisogno di interpreti per una missione nell’Africa francofona. È cosi, quindi, che Wei Wei viene scelta per studiare il francese al Dipartimento di Lingue Straniere dell’Istituto di Minoranze Nazionali del Guangxi:

Quattro mesi, ecco il tempo previsto per iniziarci alla fonetica francese. Non faccio troppa fatica ad articolare le vocali, orali o nasali, semplici o composte: alcune sono già presenti in cinese, mentre le altre non le ho mai sentite. Nemmeno le consonanti costrittive mi danno problemi, né quelle sonore. Stranamente, sono le tre paia di consonanti occlusive p e b, t e d, k e g che, pur non sembrando difficili a prima vista, si rivelano poi dei rompicapo… francesi! Ogni volta che il signor Chen ci fa fare un dettato, è il panico: non riesco mai a stabilire se pronuncia poisson o boisson, touche oppure douche, cadeau oppure gâteau… Non ho l’udito abbastanza fine da captare le vibrazioni sottili, è fuori di dubbio.

Da qui nasce un’esperienza che la arricchirà, le permetterà di scoprire l’amore, vissuto come una sorta di liberazione, nascosta dalle convenzioni imposte dalla famiglia, ma soprattutto l’amore per una lingua e per la sua letteratura, scoperta in modo “clandestino”. Il regime infatti consentiva solo la lettura di traduzioni rivedute da cinesi. Sarà inizialmente nella biblioteca d’istituto che la ragazza si cimenterà nella lettura in lingua originale di testi di Hugo, Balzac, Gide…

Dopo la fonetica, la grammatica. Ma… come? Una tazza? Un bicchiere? Un piatto? Una scodella? La tavola è femminile e il letto maschile? Quando si tratta di animali ed esseri umani, posso capire. Un gatto non è una gatta, un ragazzo non è una ragazza, è evidente. Ma gli oggetti, le cose senza vita? È logico suddividerle in maschile e femminile? […] Questa ripartizione tra maschile e femminile nella lingua francese mi fa pensare alla divisione Yin e Yang, alla nostra percezione tradizionale del mondo infinitamente grande come infinitamente piccolo.

Il romanzo racchiude in particolare alcune pagine di notevole interesse: è il confronto fra la struttura delle due lingue, il francese e il cinese, attraverso le quali si scorgono anche le differenze fra le mentalità di due popoli diversi (e noi possiamo dire tre, avendo letto la traduzione italiana).

Attraverso alcuni significativi passaggi, si comprende il meccanismo per cui grazie allo studio di una lingua, della sua grammatica e della sua sintassi si possono conoscere svariati modi di interpretare il mondo:

E i numeri! Fino a sessantanove va bene, la difficoltà comincia dopo…

Perché soixante-dix, sessanta più dieci, invece di settanta?

Perché quatre-vingts, quattro per venti, invece di ottanta? […]

Contare in cinese è infinitamente più facile! Prendiamo due cifre: ba, otto; shi, dieci.

ba, otto

shi ba, diciotto

ba shi, ottanta

ba shi ba, ottantotto

Tutto è definito dall’ordine delle parole. Così, seguendo lo stesso principio, tutto al risparmio, abbiamo bisogno solo di dieci numeri di base, da uno a dieci, per contare fino a jiu shi jiu, novantanove. Poi abbiamo bei per dire cento, qian per mille e wan per diecimila….