Intercultura e questioni spinose

di Giorgia Papagno.

 

Negli ultimi anni intercultura e integrazione sono diventati termini ricorrenti nella didattica dell’italiano L2, tanto che ormai sembrano spesso ricoprire un ruolo puramente retorico. Molti neo-professori che si trovano a dover operare in un contesto sociale problematico, spesso come volontari, scelgono la strada dell’insegnamento proprio in nome di questi ideali, sentendosi (giustamente!) vagamente eroici e accompagnati dall’entusiasmo e dalla curiosità che caratterizza sempre l’inizio di una nuova esperienza.

Purtroppo nella maggior parte dei casi ci si trova a dover affrontare situazioni anni luce lontane dalla nostra visione della vita e del mondo e, se non si parte opportunamente corazzati, si rischia non solo di fallire nel proprio intervento didattico, ma di perdere fiducia nelle proprie capacità; vorrei dunque condividere qualche riflessione nata dalla mia esperienza, tra il doloroso e il comico, sperando che possa essere di conforto a chi, tornato a casa afono e privo di energia si butti sul divano a correggere un faldone di scarabocchi chiedendosi “ma chi me lo fa fare?”. In questo articolo propongo un piccolo promemoria comportamentale di quello che ho appreso lezione dopo lezione.

# UNA PICCOLA PREMESSA E UN PO’ DI TEORIA: COME SI PUÒ ESSERE PERSIANI?

«Non mi credevo un uomo così curioso e raro e, anche se ho un’ottima opinione di me stesso, non avrei mai immaginato di turbare la pace di una grande città dove non ero affatto conosciuto. Mi decisi così a lasciare l’abito persiano e a indossarne uno all’europea (…). Rimanevo talvolta un’ora in una compagnia senza essere notato e senza aver avuto l’occasione di aprire bocca. Ma se qualcuno, per caso, rivelava che ero persiano, sentivo subito un brusio attorno a me: «Ah! Ah! Lei è persiano? È davvero straordinario! Come si fa ad essere persiani?».

Montesquieu, Lettere Persiane

Così Montesquieu, nelle sue Lettere Persiane, accorre sorprendentemente in soccorso al docente che desideri insegnare mantenendo viva una prospettiva interculturale. L’assurdità dell’interrogativo davanti a cui i protagonisti del romanzo simbolo dell’Illuminismo sono posti, costringe ad una riflessione trasversale riguardo al relativismo culturale che in misura diversa influenza il nostroapproccio verso gli altri popoli, con le loro usanze, le loro tradizioni, i loro simboli.

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Fonte: my-dolce-vita2.blogspot.com

Insegnare italiano, in particolar modo in contesto L2, significa innanzitutto prendere coscienza dei simboli altrui ed essere pronti a mettere in discussione i propri: la lingua non è uno strumento astratto e conseguentemente non può non essere considerata in relazione alla cultura in cui essa nasce e vive.

Nel rapportarci con la classe dovremo sempre tenere in conto che le regole mentali che governano il nostro agire non corrispondono a quelle dei nostri studenti. Il nostro delicato compito sarà quello di accompagnarli nel loro cammino di acculturazione nella maniera meno traumatica possibile anche quando non si mostreranno subito riconoscenti e anche se non tutti (specie gli apprendenti adulti di religione islamica) apprezzeranno il vostro ruolo di donna e di insegnante (come è successo a me). Ricordate che quanto più sarà ampia la distanza sociale tra la cultura di partenza e quella target, tanto più esisterà il rischio che essa incida negativamente sull’apprendimento dell’italiano.

Bisogna tenere sempre in considerazione le esperienze pregresse degli individui che avete davanti, l’eventuale mancata scolarizzazione e le motivazioni per cui si trovano al vostro corso. Con il tempo la soddisfazione arriverà. Non lasciatevi scoraggiare. Niente è più demotivante di un insegnante demotivato.

# CONSIDERATE I FATTORI EXTRALINGUISTICI

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Fonte: goodreads.com

Consiglio di documentarsi il più possibile sulla cultura di appartenenza dei propri studenti e su quella serie di elementi extralinguistici che, se mal gestiti, possono indelebilmente incrinare il vostro rapporto con la classe. Chiediamoci se gli occhi bassi del nostro studente asiatico sono un principio di sonnellino o un segno di rispetto, o se il nostro italico annuire non significa invece diniego per i componenti della classe di nazionalità araba. Allo stesso tempo però, ricordate che state insegnando italiano a stranieri che vivono in Italia e che intercultura, per etimologia stessa, significa incontro, sovrapposizione, scambio. Non limitatevi dunque a seguire un esotico bon ton nella speranza di risultare sempre politicamente corretti ma confrontatevi con la vostra classe. Spiegate che in Italia fissare negli occhi l’interlocutore è segno di attenzione, chiedete al vostro studente africano cosa significa quel suo continuo scoccare della lingua (che al mio orecchio è suonava come un arrogante “tzè, come no!” e ho scoperto poi essere l’equivalente del nostro “mmh mmh”). Dimostratevi sempre aperti a scoprire e fate in modo che l’oggetto dell’insegnamento, ovvero l’italiano e la cultura italiana, non risulti prevaricante in classe. Progressivamente il clima diventerà più rilassato, insieme ai vostri muscoli facciali e alle vostre mani che pruderanno dalla voglia di gesticolare in libertà. Online esistono molte risorse che classificano e differenziano vari atteggiamenti fisici con relativo significato in base alle diverse culture: discuterli in classe può essere un’ottima idea per instaurare un dialogo con gli studenti ed esercitarsi con i verbi. Si può anche scegliere di appendere in classe un infographic (strumento di grande impatto visivo e utilissimo con i principianti) in modo che gli studenti lo possano costantemente tenere d’occhio.

# ATTENZIONE ALLE EMOZIONI

Se come la sottoscritta siete individui dal cuore caratterizzato da una burrosa-irresistibile-scioglievolezza il rischio che vi facciate carico dei problemi e delle esperienze dei vostri studenti può costituire un grave ostacolo. Tenete sempre presente che un coinvolgimento emotivo troppo alto è controproducente per voi e per gli studenti; questo non significa che non dobbiate minimamente considerare le esperienze dei vostri studenti, anzi. Ma ricordo benissimo la sensazione di vuoto e impotenza provata dopo aver ascoltato in prima persona racconti di abusi, sfruttamento, brutale distacco dai propri cari, e so quanto il contatto diretto con queste realtà possa incidere sul nostro atteggiamento e sulla nostra didattica. Fate in modo che l’ambiente classe non diventi uno sportello di consulenza ma resti un ambiente sereno e protetto dove gli studenti possano apprendere nel miglior modo possibile senza sentirsi sotto esame o, il peggio del peggio, compatiti.

# PROSPETTIVE DIVERSE

Durante una lezione ho proposto un’attività finalizzata all’apprendimento dei vari stadi della vita con relativo esercizio sulla terza persona dell’indicativo presente. Per ogni età (neonato, bambino, adolescente, ecc.) gli studenti erano invitati a creare uno spidergram che indicasse le varie azioni comunemente svolte dalla fascia indicata. Ad esempio, alla mia domanda “che cosa fa il bambino?” mi sarei dovuta sentir dire che il bambino gioca, il bambino guarda la tv, il bambino va a scuola. Più di uno studente ha invece risposto che “il bambino lavora”. Che cosa fare? E come spiegare a uno studente adulto di livello A1 in Italia da pochi mesi che nel nostro paese il lavoro minorile è illegale?

Purtroppo vorrei potervi offrire una soluzione, ma la verità è che non esiste una soluzione univoca per cavarsela in questo tipo di situazione. Valutate le dinamiche di classe, mantenete la calma e soprattutto ricordate che non solo vi state confrontando con prospettive spesso diametralmente opposte alla vostra, ma che uno dei vostri obiettivi è quello di trovare una mediazione costruttiva tra due o più culture.

 

[Fonte immagine in alto a sx: thewanderingwanderluster.com]