
Sono rientrata da poco da un intenso viaggio a Lisbona, in cerca d’acqua e di pensieri. Di fronte al Tago, tra le ruas di una coloratissima Lisbona, ho recuperato un po’ del senso che aveva perso, guidata per mano e nello spirito da Fernando Pessoa, eroe cittadino.
Lisboa fa rima con Pessoa, e non c’è vicolo, libreria o bar che non racconti di lui così come lui ha raccontato di Lisbona.
Sono partita con in mano il Livro do Desassosego, il Libro dell’Inquietudine, una sublime raccolta, una sorta di diario, delle abitudini di Bernardo Soares, uno degli eteronimi dello scrittore. Ogni volta che spirava forte il vento dell’Atlantico, aprivo a caso una pagina del diario, scoprendo che era lì pronta una risposta per me.

Non c’è trama, spiega Antonio Tabucchi nella prefazione al libro; si può immaginare il romanzo «come un mazzo di carte capace di essere letto in infinite combinazioni».
Alcune di quelle carte e di quelle combinazioni erano le mie.
Ogni riflessione suggerita dal contabile Bernardo Soares è una stretta allo stomaco, una verità sulla nostra fragile e complessa natura umana, sull’arbitrarietà dei nostri pensieri, sul desassosego ancorato alle nostre anime.
Ho ripercorso in lungo e in largo Rua dos Douradores cercando i perché di Pessoa e solo voltando l’angolo, alla fine della strada, sbirciando con la coda dell’occhio il mio cammino, ho visto di nuovo me stessa, con il libro in mano, accingermi ad attraversare la stessa strada.
Penso a volte che non uscirò mai da questa Rua dos Douradores. E se lo scrivo, mi sembra l’eternità.